Nome: Amanda Moriconi
Età: 32 anni
Professione: medico internista
Segni particolari: combattente
Orgoglio vs pregiudizio. Coraggio vs retorica. Se il futuro è dei giovani, è anche vero che i giovani sono futuro. La loro voce, più di ogni slogan, può farci cambiare prospettiva e, magari, vincere le sfide. Diamoci la possibilità di ascoltarla. Entriamo nel cuore delle cose, fuori da ogni approssimazione. È ora di fare sul serio.
Amanda è un giovane medico. Si è formata a Perugia, la sua città. Dal 2020, ancor prima di aver discusso la tesi di specialità, è in prima linea nel reparto di medicina interna dell’Ospedale San Lorenzo di Borgo Valsugana, in Trentino. Come ci è arrivata, perché è rimasta e, soprattutto, dove sta andando?
LA SCELTA
Amanda, qual è il percorso che ti ha portata a Borgo Valsugana?
Nel 2019 stavo terminando il quarto anno di specializzazione. Avevo già accesso ai concorsi e ne scelsi tre. La mia idea era di restare vicino a casa oppure trasferirmi in un posto in cui mi sarebbe piaciuto vivere.
Una scelta di vita, quindi, non solo professionale?
Esattamente. Scelsi Toscana, lago di Como e Trentino. Riuscii a entrare nelle tre graduatorie ma dovevo attendere di terminare la specialità. In realtà, però, già a marzo 2020, per via dell’emergenza Covid, il Trentino fu il primo a propormi un’assunzione ad ore con uno stipendio che si aggiungeva alla mia borsa di specialità. Mi proposero da subito che, finito il contratto di collaborazione, sarei potuta rimanere a tempo determinato fino alla specializzazione con un contratto che si sarebbe automaticamente trasformato in indeterminato dopo la tesi. Entusiasta partii per Borgo Valsugana: una scommessa! Conoscevo il Trentino da turista ma dei suoi ospedali non sapevo nulla. A settembre, tuttavia, concluso il primo “contratto Covid”, decisi di tornare a casa per completare la tesi.
E poi seconda partenza alla volta di Borgo…
Il giorno stesso della discussione della tesi di specialità ho firmato il mio primo contratto da dipendente a tempo indeterminato! Perché mi ero trovata bene, con il primario, con i colleghi, con l’azienda sanitaria e i suoi servizi. Il ritorno l’ho scelto io. In realtà poi, pochi mesi dopo, mi sono concessa sei mesi di aspettativa: volevo darmi la possibilità di testare la Toscana, vicinissima a casa mia e ai miei cari. Ma per la terza volta sono tornata in Trentino. Ho fatto, a ragion veduta, una scelta di qualità, di vita e professionale. Aggiungo anche che poco dopo mi ha raggiunta il mio compagno, appena laureato in ingegneria, e in Trentino ha subito trovato un impiego che, oltre ai tempi, sia per compenso che per ruolo difficilmente avrebbe trovato altrove.
Che differenze hai avuto modo di testare?
Avevo conosciuto la realtà di Perugia, un ospedale grande, e quella toscana di un ospedale periferico. In periodo Covid, in Toscana, tutti noi internisti eravamo destinati alle cure intermedie Covid con poca soddisfazione. Poi, finita l’emergenza, era l’estate 2021, ho fatto anche là una vera e propria medicina interna, ma altro che sottorganico… eravamo solo in quattro più il primario. E poi non c’era il SIO, il Sistema Informatico Ospedaliero trentino. Io lo adoro. Perché funziona. Qui, del paziente, ovunque sia stato prima in Trentino, pronto soccorso, reparto, ambulatorio… hai a disposizione la sua storia clinica e tutta la documentazione. Altrove, sia a Perugia che in Toscana, ogni ospedale ha il proprio sistema e non avevi a sistema alcuna anamnesi se solo il paziente avesse ricevuto cure o fatto analisi fuori dalla tua struttura. Io, qui in SIO, sono rinata.
QUALITÀ DI VITA
Cosa pensi della burocrazia che i medici si trovano a gestire?
Sicuramente anche in Trentino ce n’è parecchia, ma non più che altrove. Anzi, come ho detto, qui funziona bene il sistema informatico online per cui ci sono molte meno carte da far girare e da compilare. Anche la gestione della privacy, online è molto più snella. Prima di specializzarmi, il nostro lavoro era gestire la parte burocratica e di fatto tutte le scartoffie toccavano a noi specializzandi. Questo, qui, non succede.
A Perugia che trattamento avevi? Hai goduto del Decreto Calabria?
No, avevo soltanto la borsa di specializzazione e anche poi, in periodo Covid, non mi è stato proposto alcun contratto integrativo o migliorativo. E anche i miei colleghi che sono rimasti là, hanno avuto magari a posteriori dei “contratti Covid”, ma sempre di qualche mese, nulla di organizzato o di valorizzante, come invece ho visto fare in Trentino. Qui mi hanno subito proposto l’assunzione, fin dall’inizio sono stati chiari su tipologia e durata del contratto e sulle prospettive per rimanere qua. Altrove ho visto realtà che sfruttano la presenza degli specializzandi facendo contratti di qualche mese che poi nemmeno rinnovano, perché tanto un altro specializzando da inserire in organico lo hanno sempre, senza dover valorizzare chi già c’è. Tant’è che ho dei colleghi, che sono rimasti giù, ancora in “contratto Covid”, senza altre prospettive.
A parte il contratto nazionale, la provincia di Trento mette a disposizione altre agevolazioni?
C’è un aumento dello stipendio netto di base a cui si aggiungono riconoscimenti maggiori che altrove sui turni aggiuntivi.
Il carico di lavoro, com’è?
In reparto siamo una decina di medici e ne servirebbero quindici. Quindi, rimaniamo sempre 1 o 2 ore in più. Ma siamo uniti e ci veniamo incontro. Se l’organico fosse al completo sarebbe tutto più leggero. Ma sono più soddisfatta qui con degli orari più pesanti rispetto a giù con degli orari più leggeri. Come tipo e qualità di lavoro, intendo. Altrove c’era invece la tendenza a fare il minimo indispensabile perché tanto, in un ospedale periferico, più di quello non si poteva fare…
E rispetto alla qualità dei servizi, in Trentino?
Innanzitutto, noto una grande disponibilità delle persone ad aiutarsi. Paradossalmente avrei più difficoltà a Perugia a chiedere dove posso trovare un determinato servizio. Qui chiedo e trovo subito la soluzione al problema. Percepisco la collaborazione tra le persone. C’è una rete efficace di informazioni, anche le più tecniche come le allerte meteo o la chiusura di strade per cantieri. La comunicazione è molto capillare, immediata, c’è più cooperazione e presenza delle istituzioni. Non mi sono mai sentita sola.
FORMAZIONE E CARRIERA
Che possibilità vedi qui in Trentino per una crescita professionale?
In Trentino esiste anche la possibilità di fare ricerca, senza dover affrontare quelle dinamiche negative dell’ambito accademico. Dal punto di vista formativo, inizi ad imparare dal primo giorno. In un ospedale di valle devi da subito assumerti delle responsabilità, non è come negli ospedali centrali in cui ti affidi molto ai consulenti e quindi vedi “pezzi”, non vedi tutto, e non decidi. Ovviamente ti confronti continuamente con colleghi in struttura e altrove ma sei obbligato a formarti sul campo.
Corsi strutturati ce ne sono?
Il nuovo primario che è arrivato nel 2022, il dott. Peterlana, cerca di creare per ognuno di noi un contesto di continua specializzazione. A chi è interessato alla parte cardiologica sta facendo fare un corso di cardio ed ecocardio. Io, che avevo già fatto una parte in medicina vascolare, ho potuto contribuire alla nascita di un ambulatorio di tromboembolismo venoso. Si è creata anche una rete di specialisti a livello provinciale per questo tipo di problematica. C’è un’aspirazione continua a valorizzare le persone, a stimolare la crescita professionale del singolo. A settembre andrò a fare un corso di ecodoppler avanzato. Non ho mai trovato ostruzionismo. Se qualcuno ha chiesto un permesso per partecipare ad un congresso o convegno, si è sempre cercato di venirgli incontro. C’è poi la volontà da parte dell’azienda sanitaria di formare gratuitamente il proprio personale, e questo non è per nulla scontato. Tornando alla ricerca, se io volessi proporre uno studio penso che sarebbero tutti contenti… Però servirebbe il tempo che solo un organico al completo permetterebbe.
MISSIONE
Perché hai fatto il medico e perché proprio qui stai costruendo il tuo futuro?
Inizialmente mi piaceva la medicina come materia, non ero di quelle che fin da piccole volevano fare il dottore. Mi piaceva l’idea di un connubio tra il contatto con l’essere umano e lo studio scientifico. Poi ho scoperto che mi piace proprio fare il medico.
Non ti spaventano le responsabilità che comporta?
Le responsabilità e le tensioni emotive per me diventano uno stimolo a vivere meglio i rapporti con la gente ma anche con me stessa. Aiutare gli altri, riuscire a comunicare con le persone, mi insegna a riconoscere quali sono le priorità di vita e ad essere più serena con me stessa. Non la vivo come una missione perché alla fine è una professione, ma come qualcosa che mi piace fare e voglio fare bene. Ecco, voglio fare bene e qui ho la possibilità di farlo, di fare il medico a 360 gradi, esattamente ciò a cui aspiro.