Giovani medici si raccontano: Piero Giardini

Nome: Piero Giardini
Età: 3
6 anni
Professione: medico
ortopedico
Segni particolari:
tenace e determinato

Passione vs retorica. Coraggio vs pregiudizio. Se il futuro è dei giovani, è anche vero che i giovani sono futuro. La loro voce, più di ogni slogan, può farci cambiare prospettiva e, magari, vincere le sfide. Diamoci la possibilità di ascoltarla. Entriamo nel cuore delle cose, fuori da ogni approssimazione. È ora di fare sul serio. 

Piero è un giovane medico dell’Unità operativa di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale di Cavalese, in Trentino. Si è laureato in medicina a Brescia e ha conseguito la specialità con una borsa della Provincia autonoma di Trento. Le tappe della sua formazione, la carriera e il futuro.  

LA FORMAZIONE

Piero, come sei arrivato in Trentino? 

Mi sono laureato in medicina a Brescia. Al momento del concorso per entrare in specialità, tuttavia, ero residente in provincia di Trento, sull’Alto Garda, e ho potuto scegliere se specializzarmi con una borsa di studio provinciale oppure con un contratto nazionale. Ho scelto la prima. In quel momento la collaborazione era con l’Università di Udine. Per cinque anni, quindi, quattro mesi l’anno mi sono formato a Udine e i restanti otto in Trentino. In quegli anni ho avuto la possibilità di girare le ortopedie di Borgo Valsugana, Tione, Arco, Rovereto e Cavalese, dove ho poi terminato la mia specializzazione.  

Perché hai scelto di fermarti a Cavalese? 

Perché durante gli ultimi sei mesi del quinto anno era già stata varata la possibilità di essere assunti in una delle strutture con posizioni aperte, ancor prima che entrasse in vigore il Decreto Calabria. Fortunatamente uno dei posti disponibili era a Cavalese e non me lo sono lasciato scappare. Avevo avuto l’occasione di trascorrere qui due inverni e mi ero trovato molto bene sia col dott. Molinari, il mio primario, che con i colleghi. Il dott. Molinari mi aveva accolto al secondo anno di specialità, mi ha sempre dato la possibilità di crescere e mi ha voluto in reparto ancor prima che terminassi la tesi. Non mi sono mai pentito di questa scelta. Sono contento del mio lavoro e di come stanno maturando i miei spazi di autonomia e di fiducia. Sono in viaggio, sto costruendo la mia professione e la mia carriera, così come me l’ero prefissata. 

LA CARRIERA

Di cosa ti occupi esattamente? 

Faccio tutto ciò che compete alla mia professione. Pronto soccorso ortopedico, sia in stagione che fuori stagione, ambulatorio divisionale, reparto, piccola e media traumatologia e chirurgia anche programmata. In un ospedale centrale tutto è più settorializzato. Qui vedi e fai tutto e ampli esponenzialmente competenze e bagaglio. 

Com’è il rapporto con i colleghi? 

L’ambiente è un altro dei vantaggi di un ospedale periferico. Sia con i tuoi colleghi più stretti che con quelli degli altri reparti, o con gli infermieri e gli OSS, c’è una continua collaborazione. Siamo in pochi e, dal momento che ci conosciamo tutti, lo scambio è molto più semplice e immediato, sia che si tratti di urgenze che di attività ordinaria. Questo semplifica molto il lavoro che si traduce nella soddisfazione del paziente e nell’innalzamento del valore del nostro servizio. Per esempio, esiste una collaborazione con Trento che trasferisce con fiducia alla nostra traumatologia pazienti che non riesce numericamente a gestire. 

Altri vantaggi di un ospedale di valle rispetto alla tua specialità? 

Già da specializzando hai la possibilità di seguire il paziente dalla A alla Z, sempre con il conforto e la supervisione del tuo tutor o del primario. Significa che tu incontri il paziente, fin dall’acceso in Pronto Soccorso, sarai tu ad operarlo, tu a seguirlo nel tempo individuando la terapia e poi sempre tu verificherai la guarigione o comunque il decorso. Monitori e verifichi, così, direttamente, se la tua indicazione era corretta. Sembra prassi, invece non è per niente scontato. Queste per un medico sono le prime grandi soddisfazioni ma soprattutto esperienze molto formative. È un percorso di formazione accelerato e di responsabilizzazione che porterai con te ovunque tu scelga poi di andare. 

Possiamo dire che sia da specializzando che da specialista, il tuo ruolo acquisisce maggiori responsabilità ma anche autonomia di manovra e quindi di crescita, di visibilità e di carriera? 

Sì. Verosimilmente hai sempre un reperibile o un collega anziano a cui far riferimento. I colleghi più anziani o più esperti, a partire dal primario, sono disponibili anche se fuori servizio. Ricordo che da appena specializzato, tutti i weekend in cui lavoravo, il primario e anche i colleghi più anziani mi rassicuravano: “Piero, se hai bisogno di qualsiasi cosa, puoi sempre contare su di me. Discutiamo e gestiamo insieme il caso”. Ecco, quindi, da un certo punto di vista, è giusto dire che un posto così ti responsabilizza perché magari devi contare di più sulle tue capacità ma, dall’altro, c’è la disponibilità continua dei colleghi che in qualsiasi momento sono pronti ad aiutarti. 

In Trentino che possibilità reale di crescita e di carriera ha un giovane medico? 

Conosco giovani e meno giovani ortopedici come me che stanno crescendo, stanno progredendo nella loro professione e stanno facendo carriera. Negli ultimi anni, c’è effettivamente massima apertura verso le società scientifiche e molta volontà di confronto. Una nuova generazione di primari, il mio compreso, dà a tutti la possibilità di fare, crescere, formarsi. Ad esempio, proprio qui a Cavalese, terremo a breve un Congresso O.T.O.D.I. (Ortopedici Traumatologi Ospedalieri d’Italia) sotto la presidenza del mio primario, nel quale io sono coinvolto come segretario scientifico. Parlando strettamente di carriera come progressione di anzianità, hai l’opportunità di farlo. Questo vale soprattutto negli ospedali di valle dove siamo di meno, le dinamiche sono più semplici e ognuno ha la visibilità che merita perché nessuno è meno indispensabile o meno importante degli altri. È un cambiamento rivoluzionario. Arrivano primari da fuori, eccellenze nel loro campo, che sono giovani. Un esempio: è appena stato nominato il nuovo primario di Trento in ortopedia, uno tra i più giovani primari del Trentino, bresciano come me. È un eccellente traumatologo. Questi sono segnali per cui le cose sono davvero in movimento. 

LA RESPONSABILITÀ

Perché hai fatto il medico? 

Ancor prima del liceo, non ho mai preso in considerazione di fare un altro lavoro. Da medico, poi, non ho mai avuto dubbi sulla specialità. Penso, se posso osare, che si tratti di una mezza “vocazione”. 

Cosa consiglieresti a un giovane specializzando, un giovane medico, che scegliesse il Trentino come destinazione? 

Di non temere una maggiore responsabilizzazione all’inizio, perché non sarà mai lasciato solo, ma anzi avrà la possibilità di farsi le ossa, mettere le mani in pasta per crescere, essere pronto ad affrontare qualsiasi sfumatura che la nostra professione comporta e, com’è naturale in ogni professione, specialmente quelle che hanno bisogno di formazione continua, di poter fare carriera. Partendo da una base di privilegio, riguardo alla dignità dei compensi e alla soddisfazione personale. 

Cosa intendi esattamente per responsabilizzazione? 

Per come vivo io le cose, per come vivo io la professione, il nostro mestiere ci impone di tenere la testa sempre accesa. È un mestiere che non puoi fare al meglio solamente per dire “vado a fare le mie ore”. Così non ce la fai, non vai avanti perché ogni scelta, per quanto sia la migliore che puoi prendere in quel momento, è passibile di complicazioni. Serve attenzione continua, hai una responsabilità verso il tuo paziente. Non puoi mai sentirti arrivato. Sei continuamente in viaggio. Sono grato a chi mi ha dato e mi sta dando la possibilità di continuare a imparare, di mettermi in gioco con responsabilità, appunto, e una crescente autonomia che conquisto sul campo ogni giorno grazie alla fiducia del reparto.  

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