La sanità del futuro ǀ Le storie: Dott. Antonio Ferro

Antonio Ferro, direttore generale dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento

Minacce vs opportunità. Paura vs futuro. Le persone sono la vera ricchezza di ogni azienda sanitaria. La riorganizzazione della sanità trentina riparte da loro. Scelta, accoglienza, accompagnamento, formazione, carriera all’interno di un progetto che ha coinvolto un intero territorio.

Antonio Ferro, direttore generale dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, ha raccolto la sfida di rimodellare la sanità trentina: sviluppare servizi di prossimità, che mirano all’eccellenza, scommettendo e investendo sui professionisti che hanno voglia di imparare per crescere. Come? Lo racconta lui stesso.

PERSONE AL CENTRO

Dott. Ferro, avete lanciato un’importante campagna per attrarre in Trentino personale sanitario. Perché proprio adesso?

Abbiamo ritenuto opportuno avviare un Progetto Attrattività, ma anche di trattenimento del personale, perché medici, infermieri, tecnici e tutte le altre professionalità sanitarie sono la risorsa più importante che un’azienda possiede. Sono il patrimonio su cui dobbiamo investire perché costituiscono la nostra vera ricchezza. Per questo ci stiamo concentrando sul reperimento di talenti, così rari in questo momento storico.

Quali risultati vi aspettate di ottenere?

Auspichiamo anzitutto che la riorganizzazione che stiamo attuando possa essere apprezzata e studiata dal resto d’Italia perché ci stiamo, per primi, riadattando ad un modello di sanità che è radicalmente cambiato dopo la pandemia. Poi, ovviamente, ci attendiamo di riuscire a comunicarlo e a comunicarlo bene, affinché sempre più medici, infermieri, tecnici ed operatori sanitari siano messi nelle migliori condizioni per decidere consapevolmente se venire a toccare con mano e a sperimentare la nostra realtà lavorativa. Pensiamo, oggi, di avere gli argomenti necessari per inserirci in una nicchia sempre più ristretta, con un numero di professionisti sanitari insufficiente a causa di un deficit di programmazione imputabile al passato ma che continuerà ad essere condizionante, in negativo, ancora per almeno altri 4-5 anni.

Come si riconoscono i talenti che state cercando?

Abbiamo avviato un gruppo di lavoro su questo, realizzato focus group e istituito un Team Accoglienza che dialoga con chi decide di partecipare ai nostri concorsi per comprendere quali siano gli elementi ritenuti essenziali per venire a lavorare da noi. Elementi su cui a nostra volta stiamo lavorando.

L’altro tema è quello della formazione. Abbiamo bisogno di persone che abbiano la volontà e l’ambizione di continuare a crescere, imparare, formarsi. Il Trentino sta diventando un territorio capace di offrire in percentuale una quantità di formazione al nuovo personale che vale il doppio o il triplo rispetto al resto d’Italia. Le persone non si spostano più solo per una questione economica, sulla quale già in passato abbiamo fatto la differenza, ma chiedono garanzie e opportunità professionali. Ecco, allora, che abbiamo messo a sistema programmi quali la possibilità di andare a fare formazione all’estero, lavoro in équipe specializzate e la nascita della scuola di medicina in Trentino che permetterà, oltre ad uno sbocco nella ricerca, una possibile carriera universitaria.

Quali sono i punti cardine su cui la sanità trentina investirà nel prossimo futuro?

Come ho detto, anzitutto le risorse umane, il fattore veramente in grado di fare la differenza in un sistema sanitario. Poi continueremo a spingere forte sulla digitalizzazione, anche con il supporto di centri di eccellenza quali FBK, quindi sulla prossimità, cioè su una sanità che il più possibile riesca a curare le persone a casa attraverso prestazioni innovative a domicilio. Qui entra poi in gioco la dimensione del sociale e della sinergia tra operatori socio-sanitari: vogliamo implementare il dialogo tra medici di famiglia, distretti, chi si occupa di prevenzione a 360°, sistema ospedaliero, strutture private accreditate, RSA.

Siamo passati, dopo il Covid, dall’idea di un ospedale che in qualche modo doveva rispondere a tutte le esigenze della popolazione ad un concetto in cui il territorio diventa fondamentale per fare da filtro, per fare prevenzione, per assistere i malati a casa loro. L’ospedale rappresenta un punto di rischio importante soprattutto per soggetti debilitati, per chi ha un sistema immunocompromesso o è anziano. Abbiamo anziani che, solo per il fatto di andare in ospedale, tendono a perdere la loro realtà. Noi per primi abbiamo proposto e stiamo sperimentando una riorganizzazione che va in questo senso. È un sistema innovativo verso il quale tutta l’Italia si sta in qualche modo orientando attraverso un cambiamento del DM 77 che è proprio quello che definisce i nuovi assetti territoriali.

Ciò che vogliamo presentare al resto d’Italia è il modello innovativo della nostra sanità che mette il paziente al centro. È chiaro che per un territorio come il nostro, che è per gran parte articolato in valli, la possibilità di curare le persone a casa è un valore aggiunto importante per mantenere abitati e presidiati anche i territori di montagna più periferici. Possiamo farlo solo con personale qualificato, molto motivato e che crede in questo progetto.

RETE TERRITORIALE

Com’è la rete ospedaliera di APSS e che valore rappresenta per un territorio come il Trentino?

In Trentino nasce il concetto dell’ospedale policentrico, o ospedale diffuso, che è un modello che va a superare quello di Hub & Spoke fatto di un ospedale centrale, o Hub, dove vengono svolte tutte le operazioni di alta specialità e poi ospedali periferici a bassa specialità. L’idea dell’ospedale diffuso è che all’interno di questa rete degli ospedali ci siano eccellenze periferiche dove anche medici dei centri HUB possano andare a fare delle esperienze. Faccio degli esempi concreti. A Borgo Valsugana esiste un centro delle cefalee, ad Arco quello pneumologico e il centro per l’assistenza prenatale, a Tione stiamo sviluppando un centro per lo sviluppo di un’ortopedia e di eccellenza sulla mano, abbiamo un centro laparoscopico molto importante a Cles e quello del pavimento pelvico e dell’incontinenza urinaria che stiamo sviluppando a Cavalese. Si tratta di eccellenze che stanno nelle periferie e che diventeranno le sedi dove i nostri universitari andranno ad effettuare degli interventi per quella specifica area di alta complessità e dove già vanno i nostri medici che hanno interesse a sviluppare ulteriormente la propria specialità. Questo permette l’idea di un ospedale diffuso con dei dipartimenti che assicurano all’interno dello stesso territorio un’offerta equa e simile per tutti i territori. Noi riteniamo che su sistemi che hanno una conformazione territoriale analoga a quella del Trentino, sia questo il sistema che offre la migliore possibilità di assistenza di prossimità alla propria popolazione.

Come convincerebbe un medico o un infermiere a venire in Trentino?

A un medico, un infermiere, un tecnico di radiologia o di laboratorio che sta valutando di venire a lavorare in Trentino farei lo stesso ragionamento che ho fatto io stesso, che non sono trentino, quando dal Veneto, dopo varie esperienze, sono arrivato qua. Innanzitutto, l’ho fatto per motivi professionali. È fondamentale conoscere e andare a vedere la realtà professionale in cui ti inserisci. Su questo penso che abbiamo delle carte importanti da giocare perché il sistema trentino è un sistema sano, che offre più opportunità di formazione e di sistema rispetto al resto d’Italia con anche stipendi più elevati.

L’altro elemento, sicuramente, è quello della qualità della vita. Io personalmente amavo e amo la montagna, tant’è che anche oggi ho preferito vivere a Folgaria perché quando torno la sera sono in mezzo alle montagne. Ovunque qui percepisci che quando hai finito di lavorare è come se fossi in vacanza.

Poi parlerei della qualità della vita in termini di tempi persi negli spostamenti. Se vivi a Milano devi mettere in conto un’ora, un’ora e mezza per raggiungere il luogo di lavoro, qui c’è un sistema di trasporti efficiente e capillare che ti permette in tempi ristretti di essere ovunque. E poi, oltre alla salubrità dell’ambiente, qui la popolazione, forse per la storia asburgica che ha avuto, è molto precisa: quello che tu scrivi poi viene fatto. Una popolazione che ha una protezione civile che è la prima in Italia e un’idea di volontariato e di diponibilità straordinarie.

Perché ha scelto di fare il medico?

Ho scelto di fare il medico innanzitutto perché voleva fare il medico mia madre che ha dovuto optare per l’insegnamento alla scuola elementare in seguito alla morte del padre in un incidente stradale. Ma le era rimasta quest’idea e quindi fin da bambino mi ha detto “Perché non fai il medico?”. Questo ha avuto sicuramente la sua parte. Ma l’elemento determinante, quando ero indeciso se fare ingegneria, filosofia o medicina, è stato sicuramente la possibilità che dà questa professione di essere vicino agli altri e di poterti mettere a servizio delle persone. Ho fatto sempre tanto volontariato, fin da giovane, e ritengo che la relazione e la possibilità di mettere a disposizione i propri talenti anche nell’ambito della sofferenza sia un elemento determinante. Quindi sono molto contento della scelta professionale che ho fatto, la rifarei senza dubbio.

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